CONTRIBUTO SCIENTIFICO
13 Maggio 2020
Brevi note in tema di “processo da remoto”, “giusto processo” ed “equo processo”
Processo da remoto e giusto processo
Le modifiche apportate all’art. 83 d.l. n. 18 del 2020 in sede di conversione in legge, che comportano, in senso sostanziale, una riscrittura dello stesso, impongono all’interprete – e, nella specie, all’avvocato, nell’espletamento della funzione di estrema garanzia delle prerogative individuali di fronte al potere statuale sul medesimo incombente – di attentamente considerare l’incidenza delle stesse in ordine al rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali riconosciuti all’accusato (nella sua accezione di matrice europea comprensiva dell’indagato e dell’imputato).
In tale prospettiva, all’interno dei rischi di compromissione di tali diritti e libertà che promanano dalla legislazione emergenziale correlata alla diffusione del Covid-19, particolare interesse assume l’indigeno modello procedimentale previsto, con riferimento al settore penale della giurisdizione, dai commi da 12 bis a 12 quinquies del richiamato provvedimento, convertito con modificazioni dalla l. n. 27 del 2020, entrata in vigore il 30 aprile 2020, come integrati e in parte rivisti con successivo d.l. n. 28 del 2020, entrato a sua volta in vigore l’1 maggio 2020.
Tali previsioni, con valenza temporale esplicitamente limitata al periodo intercorrente tra il 9 marzo e il 31 luglio 2020, ma che appaiono, in considerazione dei tempi e dei modi, poter celare vere e proprie modifiche di sistema con il minimo sforzo, introducono un modello in cui le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pubblico ministero, dalle parti private e dai rispettivi difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti possano essere tenute mediante collegamenti da remoto, secondo “modalità idonee”, nelle intenzioni, “a salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti”.
Su tale, essenziale, profilo – contenuto nell’incipit del richiamato art. 12 bis e destinato a costituire una sorta di norma di apertura con valenza generale per le “udienze penali” – è necessario immediatamente concentrare l’attenzione di chi scrive, al fine di valutare l’incidenza delle innovazioni sulla tenuta complessiva dell’Ordinamento, in termini di rispetto dei principi garantistici che permeano il modello accusatorio e, in primis, della garanzia del contraddittorio, che in tale sistema attua la separazione delle funzioni processuali e assicura che, prima della decisione, il giudice permetta alla parte interessata di sostenere le proprie ragioni e, con riferimento alla materia della prova, ciascuna delle parti possa contribuire alla formazione della prova, tenendo presente che il richiamato d.l. n. 28 del 2020, profondamente incidendo sulla disciplina originaria, ha specificato che l’applicazione della stessa, in ipotesi di udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio, o in cui devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti e periti, sia subordinata al consenso delle parti.
In altri termini, in un sistema processuale in cui il compito di accertare la responsabilità dell’imputato è demandato al giudice all’interno di un procedimento regolamentato secondo modalità previste dalla legge e che, dunque, prevede rigidamente che tali modalità non siano lasciate alla discrezionalità del medesimo, secondo la risoluzione data dall’art. 101, comma 2, Cost. – a norma del quale i “i giudici sono soggetti soltanto alla legge” – all’antitesi tradizionale tra governo della legge ed egemonia del potere giudiziario, è essenziale valutare se il modello procedimentale di nuova introduzione possa essere considerato effettivamente “regolato” e rispettoso dei diritti delle parti: diversamente, l’applicazione della norma penale sostanziale si trasformerebbe in diritto di polizia.
Nella prospettiva evocata, non può non osservarsi come la previsione – originariamente indiscriminata e successivamente ridimensionata – dello svolgimento da remoto delle udienze penali appaia incompatibile con il canone di parità delle parti, costituente uno dei cardini nel contraddittorio in senso “debole” previsto dall’art. 111, comma 2, Cost. con riferimento a tutti i tipi di processo, che esprime la necessità, pur nella impossibilità di attuare una piena uguaglianza degli strumenti in tutte le fasi processuali, connotate da diversità (anche in termini di esigenze e finalità perseguite) strutturali, di mantenere un tendenziale equilibrio nella distribuzione dei poteri. In tal senso, prima ancora di avere riferimento all’emblematica ipotesi dell’assunzione della testimonianza degli ufficiali e agenti di polizia giudiziaria “a mezzo schermo”, che nella prassi rischia di tradursi in mera lettura a distanza di precedenti accertamenti compiuti in segreto, può utilmente immaginarsi lo svolgimento di udienze con molti imputati e diverse questioni di fatto e di diritto da affrontare, magari in presenza di imputati detenuti (cui non è concesso in base a quanto emerge dal comma 12 dell’art. 83 d.l. n. 18 del 2020 di partecipare all’udienza unitamente al proprio difensore) e a fronte di molti testimoni e del previo espletamento di intercettazioni, per rendersi conto di come non sia concepibile equilibrio ove non si garantisca alla parte, nel suo significato tecnico comprensivo di imputato e proprio difensore, di effettivamente confrontarsi con il proprio accusatore, davanti al giudice e nel processo.
La distribuzione casuale “a mezzo schermo” di giudici, pubblico ministero, difensori, imputati e altre parti private, con particolare riguardo alle udienze dibattimentali, stravolge (e, in senso proprio, a tratti spezza) l’equilibrio delle parti, dimenticando come, a tal proposito, l’ordinamento si sia preoccupato di prevedere all’art. 146 disp. att. c.p.p. – proprio al fine di garantire, anche simbolicamente, la parità delle parti e l’equidistanza del giudice dalle parti – la precisa disposizione delle stesse “nelle aule di udienza per il dibattimento”, disponendo che “i banchi riservati al pubblico ministero e ai difensori sono posti allo stesso livello di fronte all’organo giudicante. Le parti private siedono a fianco dei propri difensori, salvo che sussistano esigenze di cautela. Il seggio delle persone da sottoporre ad esame è collocato in modo da consentire che le persone stesse siano agevolmente visibili sia dal giudice che dalle parti”.
In tale ottica, può conclusivamente affermarsi che la disciplina in commento, con riferimento alla fase del giudizio e in particolar modo al dibattimento, non garantisce certamente parità delle parti.
Il tema appena affrontato consente, d’altro canto, di valutare la compatibilità del modello in esame con i princìpi del c.d. giusto processo specificamente riferiti al processo penale, inseriti ai commi 3 e 4 dell’art. 111 Cost., e in particolare con il principio del contraddittorio in senso forte: seppure la norma di nuova introduzione appaia formalmente garantire la possibilità “davanti al giudice, di interrogare o far interrogare le persone che rendono dichiarazioni” a carico dell’accusato, è in primo luogo il caso di rilevare come il diritto a confrontarsi con il proprio accusatore risulti svuotato di effettivo contenuto, allentando il confronto e allontanandolo dal giudice. Come può, per altro verso, ritenersi garantita la possibilità che la prova si formi in modo dialettico, che il contraddittorio rappresenti effettivo metodo di conoscenza, che venga garantito a distanza il confronto e lo scontro tra le tesi quale metodo che più di ogni altro garantisce di avvicinarsi alla verità?
In questo senso, il doppio binario prospettato dall’art. 12 bis d.l. n. 18 del 2020 – che prevede differenti meccanismi di partecipazione alle udienze penali a seconda che vengano o meno in considerazione soggetti ulteriori rispetto a quelli da esso richiamati – pare in realtà prefigurare due metodi diversi di conoscenza e garantire pienamente il diritto della parte interessata di sostenere le proprie ragioni “adiatur et altera pars” e il contraddittorio come tecnica di accertamento dei fatti solo a condizione che la presenza di tali “soggetti ulteriori” sia necessaria: si dimentica, in tal modo, l’imputato, protagonista del processo nel modello prevalentemente accusatorio delineato dal Codice di Procedura Penale.
Si è di fronte, in altri termini, al sovvertimento della logica che ispira il sistema: l’imputato, presunto innocente fino a condanna definitiva, la cui reità deve essere accertata mediante il confronto con il proprio accusatore, può diventare, ove ne ricorrano le condizioni, oggetto del processo, spettatore e non più protagonista del processo a suo carico, da cui – simbolicamente – è anche fisicamente distante.
E cosa ne è dell’oralità, quale presidio a tutela della genuinità delle informazioni acquisite, che permette di valutare in modo pieno la credibilità e l’attendibilità del dichiarante? Quale immediatezza può dirsi sussistere tra assunzione della prova e sua valutazione? Quale spazio può dirsi residuare, in definitiva, per i presìdi volti ad impedire che la formazione della prova si risolva in una mera conferma di tesi già formate durante la fase delle indagini o comunque al di fuori del confronto, secondo abitudini sedimentate sotto la vigenza del Codice Rocco?
Il sistema delineato, in definitiva, allontana l’imputato dal processo e dalla formazione della prova e, al contempo, allontana il giudice dall’istruttoria, privando finanche di effettività la deliberazione, mediante la dematerializzazione della camera di consiglio, prevista dall’art. 12 quinquies d.l. n. 18 del 2020, secondo cui le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto e il luogo da cui si collegano i singoli magistrati è considerato camera di consiglio, fatta eccezione per le ipotesi in cui la discussione finale non avvenga mediante collegamenti da remoto. Forti preoccupazioni non possono non esprimersi, a tale proposito, in merito alla possibile alterazione del meccanismo decisionale, ordinariamente deputato a informare di razionalità il momento della decisione secondo modalità che, pur non incidendo sul libero convincimento del giudice, pongono limiti alle modalità mediante le quali tale convincimento si forma, garantendo la qualità del prodotto/sentenza mediante la vera collegialità e l’immediata consultazione degli atti da parte di ciascun giudicante, difficilmente ipotizzabile a fronte della detenzione del fascicolo processuale da parte di uno solo di essi.
Le considerazioni espresse traggono conferma, se possibile, avendo riferimento al modello di “equo processo” tratteggiato dall’art. 6 CEDU, nella sua valenza di norma interposta precisata dalle “sentenza gemelle” nn. 348 e 349 della Corte Costituzionale, che esige, per quanto qui di rilievo, che ogni persona abbia diritto che la sua causa sia esaminata equamente e pubblicamente da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge, che sia chiamato a pronunciarsi sulla fondatezza di ogni accusa penale formulata nei suoi confronti mediante una sentenza resa pubblicamente. Ed ancora, il modello delineato dall’intervento di riforma in commento non pare aderente con il diritto, riconosciuto ad ogni persona accusata di un reato, presunta innocente fino a quando la sua colpevolezza non sia stata legalmente accertata, di effettivamente difendersi personalmente, avere l’assistenza di un difensore, esaminare o far esaminare i testimoni a carico e a discarico.
Ne emerge, in altri termini, un modello procedimentale impermeabile ai princìpi dell’equo processo, che permeano di effettivo contenuto il modello introdotto nell’ordinamento italiano dalla l. cost. 23 novembre 1999, n. 2, che pare porre le basi di una giustizia segreta e gestita nelle stanze degli uomini anziché nello spazio dello Stato, garanzia di un processo sottratto al principio di autorità e che realizza effettivo contemperamento delle differenti esigenze di protezione della società e difesa dell’accusato.
L’insopprimibile diritto al contraddittorio, nei termini che precedono, nutrito del pubblico confronto e attento alla riservatezza dei dati che devono allo stesso essere sottratti, conduce conclusivamente a fortemente ripudiare meccanismi, misti di efficienza e sommarietà, tesi a perseguire il risultato senza se e senza ma; senza, in definitiva, avere attenzione al metodo, garante delle libertà e dei diritti individuali e che ripudia verità di stato che superano i diritti delle parti e sono capaci di realizzare arbìtri e trattamenti irragionevoli e discrezionali.
Nei termini che precedono, può, conclusivamente, osservarsi come il modello procedimentale di nuova introduzione, che pare celare una riforma di sistema mediante legislazione emergenziale, appaia distante dai canoni del giusto e dell’equo processo.
Osservazioni critiche sulla normativa contenuta nel d.l. 17 marzo 2020, n. 18
Di seguito la lettura dell’art. 83 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, c.d. cura Italia, nel testo definitivo successivo agli emendamenti adottati in sede di conversione in legge, la cui entrata in vigore è avvenuta il 30 aprile 2020, giorno successivo a quello della sua pubblicazione.
In materia di giustizia penale, l’art. 83 d.l. cit., individua due fasi. La prima fase ricade nel periodo dal 09 marzo al 15 aprile 2020, la seconda dal 15 aprile al 30 giugno 2020.
Nella prima fase, dal 9 marzo al 15 aprile 2020, è previsto il rinvio d’ufficio dei procedimenti penali pendenti presso gli uffici giudiziari a data successiva al 15 aprile 2020 (art. 83, comma 1, dl cura Italia).
In ragione di ciò , è prevista anche la sospensione dei termini per il compimento di qualsiasi atto dei procedimenti penali (termini per la fase delle indagini preliminari, per l’adozione di provvedimenti giudiziari e per il deposito della loro motivazione, per le impugnazioni e, in genere, tutti i termini procedurali (art. 83, comma 2, d.l. cit).
Nel caso in cui il decorso dei termini sia ricompreso nel periodo sopra individuato, l’inizio della decorrenza degli stessi è differito alla fine di detto periodo.
Nella fase in cui tutti i termini sono sospesi, sono state previste alcune eccezioni dettate da ragione di necessità ed urgenza, compatibili con l’atto avente forza di legge emanato dal Governo.
Tra queste, si ricordano, i procedimenti di convalida dell’arresto o del fermo; i procedimenti in cui si sarebbero esauriti i termini di durata massima di custodia cautelare; i procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o risulta pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive; nei casi in cui i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente avanzavano richiesta di prosecuzione del procedimento penale (in questo caso l’individuazione delle ragioni eccezionali viene delegata impropriamente ad altri soggetti) anche: i procedimenti a carico di persone detenute, salvo i casi di sospensione cautelative delle misure alternative; procedimenti in cui sono applicate misure cautelari o di sicurezza; procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono disposte misure di prevenzione; procedimenti in cui è necessaria assumere prove indifferibili, nei casi di cui all’art. 392 c.p.p.
Tale previsione risulta, oggi, modificata con la legge di conversione, essendo stati inclusi anche i procedimenti di convalida dell’ordine di allontanamento immediata dalla casa familiare (misura resasi necessaria in ragione dell’aumento dei reati endofamiliari durante la fase di lockdown che stiamo vivendo da ormai 2 mesi); ed i procedimenti di consegna di imputato o condannato ai sensi della legge sul M.A.E., e di estradizioni secondo le norme del nostro codice di rito.
Con la legge di conversione è stato, inoltre, stabilito che la richiesta di cui al comma 3, lett. b), per i procedimenti dinanzi alla Corte di Cassazione, debba essere avanzata a mezzo del difensore (ex Art. 83, comma 3 bis).
Successivamente a tale prima fase, come noto, si prevede una seconda fase, dal 16 aprile al 30 giugno, in cui i capi degli uffici giudiziari, secondo le modalità individuate, adotteranno le misure organizzative necessarie al fine di evitare assembramenti all’intento dell’ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra le persone.
Con gli emendamenti introdotti in sede di conversione al decreto legge cura Italia, ai commi 12 bis e ss, si è introdotta una nuova e radicale disciplina di celebrazione a distanza del processo penale – per alcune tipologie di udienze penali che di seguito verranno individuate – per il periodo dal 9 marzo al 2020.
La retrodatazione della vigenza di questa disciplina al 9 marzo, non ha alcun senso, se non quello di voler salvare tutto ciò che fin qui è stato fatto attraverso l’adozione di protocolli privi di alcun appiglio normativo.
La lettura del comma 12 del d.l. cura Italia ci illumina, in tal senso.
In esso si disponeva, ferma l’applicazione della disciplina codicistica della celebrazione dell’udienza a porte chiuse, ex art. 472, comma 3, c.p.p., che dal 9 marzo al 30 giugno 2020 (periodo che ricomprendeva entrambe le fasi), la partecipazione a qualsiasi udienza delle persone detenute, internate o in stato di custodia cautelare veniva assicurata, ove possibile, mediante videoconferenze o con collegamenti da remoto disciplinati con provvedimento del Direttore Generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della Giustizia, in quanto compatibili con l’art. 146 disp. att. c.p.p.
Il provvedimento emanato dal Direttore Generale dei sistemi informativi e automatizzati, figlio di una pessima formulazione, ha ingenerato miopia ermeneutica, disciplinando lo svolgimento delle udienze penali (art. 3) – non solo la partecipazione del detenuto, internato o sottoposto a custodia cautelare, sebbene il chiaro richiamo ai casi di cui al dodicesimo comma dell’art. 83 del dl cura Italia non avrebbe dovuto lasciare adito a dubbi interpretativi – così dando spazio ad ipotesi interpretative di legittimazione del processo da remoto.
I commi 12 bis, ter, quater e quinquies, per la prima volta, introducono tale modalità di celebrazione delle udienze penali, al netto dei protocolli applicati in vari tribunali d’Italia.
I casi sono disciplinati dal comma 12 bis, e riguardano solo le udienze penali che non richiedono la partecipazione di soggetti diversi dal pm, dalle parti private e dai rispetti difensori, dagli ausiliari del giudice, da ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, da interpreti, consulenti o periti.
Il richiamo al contenuto del comma 12 sembra potersi riferire solo alle modalità di celebrazione dell’udienza a porte chiuse, tenuto conto che le modalità di collegamento da remoto risultano disciplinate nello stesso comma 12 bis.
Al di là delle evidenti compromissioni dei diritti costituzionali relativi alla celebrazione del giusto ed equo processo, risultando di immediata evidenza che la stessa partecipazione a distanza e mediata al processo non consente di salvaguardare il contraddittorio e l’effettiva partecipazione delle parti, di cui si è detto, vi sono numerosi rilievi da avanzare sulla scelte adottate dal legislatore.
Il difensore, come opportunamente evidenziato già da molte voci autorevoli, sarà chiamato ad assumere una nuova funzione pubblica, dovendo attestare l’identità dei soggetti assistiti, nei casi previsti.
L’assistito libero potrà partecipare al suo processo solo dalla postazione da cui si collega il difensore, così venendo meno ogni ragione di tutela alla salute del difensore o del proprio assistito, in contrasto con le stesse finalità della legge.
L’imputato in stato di custodia in uno dei luoghi di cui all’art. 284 c.p.p., ed il suo difensore, potranno, invece, partecipare all’udienza di convalida da remoto anche dal più vicino ufficio di pg.
In tal caso, verrà meno la funzione pubblica del difensore, dovendo procedere l’ufficiale di pg alle attestazioni relative all’identità dell’arrestato o fermato.
Non risultano in alcun modo disciplinate le modalità di trasmissione degli atti relativi all’attività di indagine a favore del difensore e non si capisce, pertanto, come il difensore potrà garantire la difesa tecnica al proprio assistito.
Sul punto, non potranno che applicarsi i vari protocolli adottati nei tribunali d’Italia, ciò traducendosi in un farraginoso compito interpretativo per gli avvocati impegnati in più tribunali.
L’ausiliario del giudice dovrà partecipare all’udienza dall’ufficio giudiziario e sottoscrivere il verbale redatto, in cui saranno indicati i motivi dell’impossibilità dei soggetti non presenti a sottoscrivere o vistare il verbale nei casi previsti.
Còi , in ragione della previsione di nullità ex art. 142 c.p.p.. Si segnala che in alcuni Tribunali, gli ausiliari del giudice provvedono a trasmettere il verbale a mezzo pec ai difensori per la relativa sottoscrizione. In tali casi, i difensori ne curano, successivamente, la restituzione all’ausiliario, attraverso lo stesso mezzo.
Il 12 ter riguarda il processo dinanzi alla Corte di Cassazione.
Sia le udienze camerali che le udienze pubbliche non vedranno l’intervento del pg e del difensore, eccetto il caso in cui la parte ricorrente faccia richiesta di discussione orale.
In tali casi, non è stata disciplinata la modalità di celebrazione dell’udienza e si dovrà, pertanto, tornare alla celebrazione nelle forme ordinarie.
Nel caso si voglia procedere senza discussione orale, è previsto che, entro 15 giorni antecedenti l’udienza, il pg trasmetterà le proprie richieste con atto scritto alla cancelleria via PEC.
La cancelleria, tramite lo stesso mezzo, trasmetterà tali richieste ai difensori delle parti private, che entro 5 giorni antecedenti l’udienza, potranno presentare le proprie conclusioni.
I termini a ritroso così individuati porranno dubbi interpretativi.
Non risulta disciplinata la veste digitale che dovrà assumere l’atto che verrà trasmesso dalle parti (PDF; DOC o altro) e non risulta disciplinata l’ipotesi in cui l’atto trasmesso risulti illeggibile per qualsiasi causa.
Inoltre, per il processo in Cassazione, viene stabilita una forma di deliberazione da remoto e di comunicazione del dispositivo, che, unitamente alla sospensione del deposito in cancelleria dei provvedimenti sine die (fine fase emergenza) (ex comma 12 quiquies), potrebbe porre problemi rispetto alla stessa esecuzione dei provvedimenti.
Il dispositivo, inoltre, sarà comunicato alle parti nelle forme previste dal comma 12 ter, e ciò potrebbe accadere anche prima del deposito in cancelleria come disciplina dal richiamato comma 12 quinquies.
Risulta, infine, disciplinata solo l’ipotesi di richiesta di discussione orale del difensore, non quella del pg (che sembra ipotesi da non contemplarsi), ed è prevista la sospensione dei termini di prescrizione e di custodia cautelare per tutti il tempo del rinvio.
Il 12 quater disciplina la fase delle indagini preliminari.
In esso è previsto che pm e giudice possano avvalersi di collegamenti da remoto, mentre non è disciplinata in alcun modo l’ipotesi in cui sia il difensore a voler procedere ad investigazioni difensive.
È lampante la lesione dei diritti della difesa e del principio di posizione paritaria delle parti. Quanto al resto, si ripete la disciplina di partecipazione da remoto di cui ai commi precedenti.
Il 12 quinquies riguarda le deliberazioni collegiali e con esso viene smaterializzata la sacralità della camera di consiglio ed estesa senza alcun limite spaziale.
Dei problemi riguardanti il deposito in cancelleria si è già detto.
Dall’analisi svolta, risulta evidente che le richieste dell’Avvocatura non hanno trovato alcuno spazio nella legge di conversione del d.l. n. 18/2020, c.d. “cura Italia”. Viene, in effetti, introdotto il processo a distanza, in ragione della contingente fase emergenziale in cui è piombato il Paese – ed impedito al difensore di accedere agli uffici giudiziari nel momento fondamentale del suo ministero, in violazione dei principi del giusto ed equo processo – ma non è stata prevista alcuna disciplina dell’attività di accesso in cancelleria, deposito atti, visione dei fascicoli (il cd ppt, indubbiamente necessario in questa fase all’esercizio del diritto di difesa, oltre che a diminuire la necessità di recarsi presso gli uffici giudiziari).
Da ultimo, occorre evidenziare che, attualmente, è in vigore il d.l. 8 aprile 2020, n. 23, il cui art. 36 stabilisce che i termini processuali di cui all’art. 83, comma 1 e 2, d.l. 17 marzo 2020, n. 18, sono prorogati all’11 maggio 2020.
La mancata introduzione della suddetta proroga dei termini nell’art. 83, comma 1 e 2, con la legge di conversione del decreto cura Italia, ha dato vita ad un antinomia normativa che, in applicazione del criterio cronologico di interpretazione delle norme – secondo cui lex posterior derogat priori, può indurre a ritenere che i termini, ivi previsti, abbiano ripreso a decorrere dal 15 aprile 2020.
III. Osservazioni critiche sulla normativa contenuta nel d.l. 30 aprile 2020, n. 28.
Processo da remoto: ipotesi da escludere o di cui discutere?
Come in apertura evidenziato, il nuovo d.l. 30 aprile 2020, n. 28, ha integrato la disciplina dettata dal d.l. n. 18 del 2020, in particolare parzialmente introducendo l’elemento del consenso, cui in alcune ipotesi è subordinata l’applicazione della disciplina emergenziale, revisionata mediante modifiche vigenti a partire dal giorno seguente alla conversione in legge dell’originario provvedimento.
La rubrica del provvedimento, invero, non contiene alcun riferimento alla giustizia penale: ciò tradisce – se possibile ancor più chiaramente – le modalità schizofreniche che stanno caratterizzando questo periodo di superfetazione normativa, certamente censurabili, e come le modifiche da ultimo introdotte rappresentino un chiaro correttivo dell’ultimo minuto alla disciplina del decreto “Cura Italia” convertita in legge. Valgano, al riguardo, le considerazioni innanzi espresse che rappresentano posizioni inamovibili immediatamente discendenti dai principi diffusamente sopra richiamati. La situazione emergenziale ancora in corso, giustifica, in parte, l’attuale frenesia normativa, al cui dibattito e dovuto approfondimento, secondo una posizione aperta al confronto, pur rigidamente orientata alla salvaguardia dei diritti e delle garanzie fondamentali, non possiamo sottrarci.
Premesso quanto sopra, possono formularsi le ulteriori osservazioni che seguono, non senza focalizzare l’attenzione su un dato essenziale: la attuale situazione di eccezionalità, correlata alla situazione emergenziale, si differenzia da quelle che in passato hanno sfortunatamente caratterizzato il Paese e che hanno richiesto interventi legislativi eccezionali che poi hanno trovato stabilità nel nostro ordinamento (il riferimento, esplicito e non esaustivo, è a quelle afferenti al terrorismo e alla criminalità organizzata) principalmente in quanto, da un lato, non è legata ad un fenomeno di natura criminale ma ad altro fenomeno che, fortunatamente, è per sua natura destinato a ridimensionarsi e poi esaurirsi (per stessa ammissione dell’Esecutivo e della comunità scientifica e come si evince dalla dichiarazione dello stato di emergenza che, come è noto, ha una durata previamente stabilita), e dall’altro, riguarda l’intera società nelle sue varie articolazioni e non una parte di essa.
Tanto vale a eliminare il pericolo – o le tentazioni – che le previsioni derogatorie introdotte riguardino interventi particolarmente incisivi e sistemici, che assecondino qualsivoglia tentazione di andare oltre un limitato periodo di riferimento per divenire, “sotto mentite spoglie”, riforme di sistema, come accaduto negli altri casi. Evidentemente, una vera e propria riforma che incida sui principi posti a fondamento del processo penale, ad oggi peraltro impensabile, imporrebbe comunque l’avvio di un serrato dibattito con una irrinunciabile fase di approfondimento scientifico, di discussione e di confronto fra tutti gli operatori del diritto ed il Legislatore, attività tutte che attualmente sono anche fisicamente impossibili.
Muovendosi in tale preciso ambito, e prendendo dunque in esame questo periodo transitorio, si avverte la necessità di non paralizzare la macchina della giustizia, garanzia per il singolo e per la collettività, avendo sempre come riferimento i diritti costituzionalmente e convenzionalmente garantiti che ispirano l’attuale modello procedimentale penale e avvertendo come indefettibile l’adozione di provvedimenti che abbiano efficacia assolutamente uniforme su tutto il territorio nazionale. Il concreto contemperamento tra le distinte esigenze di garantire il funzionamento e la continuità dell’amministrazione della giustizia e di garantire i diritti e le prerogative individuali riconosciute all’accusato (come precisato nella sua accezione di matrice europea comprensiva dell’indagato e dell’imputato) – avendo sempre riferimento allo stato di emergenza dichiarato nel rispetto della Costituzione – impone di verificare la possibilità di garantire lo svolgimento di tutte quelle attività procedimentali che, non implicando attività ricadenti nell’esplicazione del contraddittorio, della oralità e della immediatezza, consentano parimenti di garantire il concreto funzionamento del sistema della giustizia penale scongiurando il rischio e gli effetti di una paralisi, in alcune ipotesi nociva per i diritti dello stesso accusato.
Il riferimento è a tutte quelle attività – tra le quali, a titolo esemplificativo, il deposito di atti e documenti (questi ultimi a determinate condizioni e secondo meccanismi rigidamente predeterminati, che consentano di garantire i diritti delle parti), la consultazione dei fascicoli, l’estrazione di copie – che non incidono sui principi innanzi richiamati e sui diritti delle parti e che, al contempo, consentono di sburocratizzare e garantire effettività alla macchina giudiziaria: esse, previa totale digitalizzazione dei fascicoli, si ritiene possano essere consentite, a patto di avvalersi di procedimenti e sistemi che garantiscano i diritti dei singoli e, in particolar modo, la genuinità, sicurezza, segretezza e riservatezza dei dati.
Nella prospettiva indicata, la soluzione richiede, pur nella situazione emergenziale, di approntare stabili meccanismi e presìdi, tali da garantire, mediante interventi strutturali seppur limitati nel tempo, tutti i diritti (non solo processuali ma anche, in senso più ampio, ordinamentali e fondamentali) delle parti coinvolte: in tal senso, appare indiscutibile la necessità di telematizzare strutturalmente il sistema, sulla scorta di quanto è avvenuto o sta avvenendo in alcuni Uffici Giudiziari sul territorio nazionale. In merito, le soluzioni approntate con il d.l. 30 aprile 2020, n. 28, con l’introduzione dei commi 12 quater 1 e 12 quater 2, seppur nella direzione auspicata, non risultano soddisfacenti, essendo sostanzialmente devoluta la decisione sull’adozione del deposito telematico al singolo ufficio del Pubblico Ministero che ne faccia richiesta, “previo accertamenti da parte del Direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia della funzionalità dei servizi di comunicazione dei documenti informatici”.
La formulazione adottata dal Governo, c’è da dire, lascia trapelare gravi dubbi sull’attuale efficienza dei servizi telematici del Ministero della Giustizia, che, sembrerebbe, non risultano ancora pronti a sostenere il carico di dati che dovrebbero trattare e conservare.
Ciò, irrimediabilmente, produrrà in questa fase un sistema giustizia che funzionerà a macchia di leopardo.
Discorso a parte merita la celebrazione dell’udienza penale da remoto.
Ancora una volta, il d.l. n. 28 del 2020 compie dei passi nella direzione auspicata, tuttavia, senza escludere con decisione le udienze dibattimentali e le fasi successive del primo grado di giudizio dallo stravolgimento conseguente a qualsiasi indiscriminata “remotizzazione” del processo, così come (in via pressoché assoluta) dei successivi gradi di giudizio.
La formula adottata nel nuovo comma 12 bis, ultimo periodo, secondo cui “fermo quanto previsto dal comma 12, le disposizioni di cui al presente comma non si applicano, salvo che le parti vi acconsentano, alle udienze di discussione finale, in pubblica udienza o in camera di consiglio e a quelle nelle quali devono essere esaminati testimoni, parti, consulenti o periti”, ancora una volta, rimette nella disponibilità delle parti la scelta di celebrare udienze in violazione dei principi del giusto processo e dell’equo processo sanciti dalle nostre Carte fondamentali.
Sulla base della previa acquisizione del consenso delle parti, inteso come consenso di tutte le parti processuali, proprio secondo quel canone di parità innanzi richiamato, può valutarsi sulla opportunità di trattare, secondo particolari modalità, ben determinate udienze, individuate a priori in modo tassativo e determinato, quali, a titolo esemplificativo, udienza di opposizione all’archiviazione, udienza preliminare (senza pregiudizio alcuno per le parti), udienze relative a incidenti di esecuzione e mere “udienze filtro” o “di smistamento” (secondo, in quest’ultimo caso, una definizione sconosciuta al Codice ma in voga nella prassi, che definisce le udienze di primo grado in cui non è prevista particolare attività).
Solo queste particolari e definite tipologie di udienze, si ritiene, potrebbero essere trattate, in forza del richiamato consenso di tutte le parti, quale indispensabile condizione legittimante la celebrazione dell’udienza con modalità alternative, e secondo modalità ben definite e rigidamente predeterminate in via unitaria su tutto il territorio nazionale.
In altri termini, secondo modalità rigidamente regolamentate – si pensi, alla necessità, di comprendere quali “prime” udienze di primo grado siano effettivamente “filtro” o “di smistamento” – è possibile lavorare alla creazione di un modello, con valenza temporale altrettanto rigidamente precaria, predeterminata e limitata al periodo di vera emergenza sanitaria, che consenta di svolgere quelle udienze che realizzano compromissioni dei diritti delle parti (tra le quali rientra, si ricordi, il Pubblico Ministero) compatibili con lo stato di emergenza, sempre a condizione che vi sia il consenso di tutte le parti coinvolte, anche solo potenziali ed eventuali, che devono dunque essere previamente avvisate e cui deve essere consentito di esprimere il dissenso allo svolgimento della udienza.
Da ultimo, si ritiene opportuno ribadire quanto già evidenziato nel secondo paragrafo del presente contributo, giacché, anche in seguito all’emanazione del d.l. n. 28 del 2020, permane il problema di coordinamento dei termini individuati per le due fasi delineate dall’art. 83 d.l. n. 18 del 2020.
In tale precisa prospettiva, le considerazioni innanzi espresse, ferme alcune considerazioni che rappresentano posizioni inamovibili immediatamente discendenti dai principi diffusamente sopra richiamati, appaiono poter stimolare il dibattito e l’approfondimento, secondo una posizione, pur rigidamente orientata alla salvaguardia dei diritti e delle garanzie fondamentali, aperta al confronto.