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L'interruzione volontaria di gravidanza

INTRODUZIONE

Homer Wells è cresciuto nel nordorientale e rurale Maine dei primi decenni del secolo scorso, in un orfanotrofio.

Il St. Cloud’s, un luogo lontano dalla civiltà che accoglie orfani e donne bisognose tanto di partorire quanto di abortire figli indesiderati, è diretto dal ginecologo abortista Willbur Larch, un uomo gentile e buono che tratta con grande affetto e rispetto i suoi piccoli orfani.

In un’epoca in cui l’interruzione di gravidanza è vietata dalla legge, dopo 4 esperienze fallimentari di adozione, Homer sceglie di rimanere al St. Cloud’s e diviene il discepolo del Dott. Larch, uomo che amerà come un padre e dal quale verrà cresciuto e riamato come un figlio.

Apprende così la scienza medica, la ginecologia e l’ostetricia, assistendo il proprio mentore durante i parti e le procedure abortive, così facendo sperare all’ormai anziano medico che un giorno, ormai non troppo lontano, prenderà il suo posto.

Ma Homer è tormentato.

Per ogni nuovo aborto, per ogni vita interrotta, nasce in lui un nuovo interrogativo: può questo gesto essere considerato un omicidio?

Al St. Cloud’s giunge una coppia di giovani, Wally e Candy, per porre fine alla gravidanza indesiderata della ragazza.

Maturata la decisione di non praticare più aborti, ritenendoli delitti, Homer si scontra con il Dott. Larch sul reale significato delle procedure abortive e manifesta la propria decisione di non volerle più praticare.

Il giovane, che non ha mai visto l’oceano ed è desideroso di conoscere il mondo fuori dall’orfanotrofio, decide di lasciare il St. Cloud’s con Wally e Candy e va a vivere nella fattoria e a lavorare nel frutteto del ragazzo, condividendo l’alloggio con i raccoglitori.

Ed è qui, dopo due stagioni di raccolta delle mele e di produzione del sidro, che scopre che la giovane Rose Rose è vittima di abusi da parte del padre e che porta in grembo una nuova vita.

Fermo nella propria scelta etica di non praticare più aborti e forse anche indifferente alla condizione della ragazza, un giorno Homer litiga duramente con Mr. Rose e inizia a temere per la vita dell’amica.

Sa perfettamente che un aborto clandestino praticato da gente impreparata può essere pericoloso, anche letale.

E così comprende le ragioni che hanno spinto il Dott. Larch a praticare gli aborti lui stesso, in sicurezza.

Homer decide di operare Rose Rose e avverte, per la prima volta, la propria vocazione di medico.

II

IL DIBATTITO TRA PRO-LIFE E PRO-CHOICE E L’ONTOGENESI DELLA VITA UMANA

Agli amanti della carta stampata e della celluloide non sarà certo sfuggito che il racconto appena letto altro non è che un succinto riassunto del romanzo di John Irving, dal quale è stata tratta l’omonima pellicola, “Le regole della casa del sidro”, dove il tema dell’interruzione della gravidanza è un elemento centrale della narrazione.

Ed è negli interrogativi che tormentano il protagonista della vicenda che rinveniamo l’essenza del dibattito che ha portato alla promulgazione, in Italia, della Legge 22 maggio 1978 n. 194 sull’interruzione volontaria di gravidanza.

Sin dalle proprie origini, la discussione sull’aborto vede contrapporsi due tesi: quella che vuole rendere illegale l’I.V.G. o sottoporla a vincoli estremamente stringenti e quella che invece sostiene che la stessa debba essere legalizzata e regolamentata.

Secondo la prima corrente, definita pro-life, l’ontogenesi umana ha inizio nell’istante della fecondazione, ovvero nel momento della congiunzione di uno spermatozoo maschile con un ovocita femminile, e che “una volta che il processo è cominciato, non c’è una particolare fase del suo sviluppo che sia più importante di un’altra: tutte sono parte di un processo continuo”.

Tale affermazione è contenuta nel cd. Rapporto Warnock del 1984, stilato da una commissione bioetica inglese presieduta dalla filosofa Mary Warnock, in cui si evidenzia la mancanza di una soluzione di continuità della vita umana, ritenuta continua e progressiva, dal momento del concepimento fino alla morte.

Sul piano giuridico, il fronte antiabortista chiede la tutela degli embrioni come individui, ritenendo la pratica dell’aborto alla stregua di un omicidio.

La seconda corrente invece, denominata pro-choice, ritiene che il frutto del concepimento, almeno nelle prime settimane di gravidanza, non avendo ancora sviluppato sufficientemente il sistema nervoso centrale (in particolare la corteccia cerebrale, il talamo e le relative connessioni neuronali), non è ancora un individuo autocosciente e dunque è radicalmente differente, dal punto di vista biologico e ontologico, dall’essere umano adulto.

Le tesi favorevoli alla legalizzazione dell’aborto sono sostenute dai pro-life, i quali non negano il valore della vita umana ma affermano che la donna debba poter esercitare, in determinati casi ed entro limiti fissati dalla legge, il diritto a interrompere la gravidanza.

Dal punto di vista della tutela giuridica, gli abortisti ritengono dunque che il concepito sia titolare di una legittima aspettativa a nascere, ma non di un vero e proprio diritto, e in questo senso che debba prevalere su questa aspettativa, nei casi previsti, la libera e consapevole autodeterminazione della madre.

III

LA POSIZIONE DELLA CHIESA CATTOLICA

Leggendo il paragrafo precedente, appare evidente come l’ammissibilità morale dell’aborto o interruzione volontaria di gravidanza sia soggetta a convinzioni etiche, orientamenti religiosi o più in generale al modo in cui una cultura si pone di fronte a concetti come la vita o l’anima.

Nel nostro Paese hanno giocato e giocano un ruolo fondamentale i principi e gli insegnamenti della religione cattolica e la presenza sul nostro territorio della Santa Sede.

Avendo riguardo dell’epoca più antica[1], la Chiesa Cattolica è stata a lungo divisa sull’ammissibilità dell’aborto, sussistendo già all’ora due diversi orientamenti sostenuti da filosofi e studiosi: se da una parte vi erano coloro che equiparavano il feto ad una persona e pertanto condannavano tout court l’interruzione di gravidanza, dall’altra vi erano altri che, influenzati dalla teoria del filosofo Aristotele sul feto animato e feto inanimato, ammettevano l’aborto nei primi 2/3 mesi di gestazione[2].

A partire dal Decretum Gratiani del 1140 il dibattito e sino al 1869, il diritto canonico ha utilizzato la distinzione tra feto animato e feto inanimato.

Solo nella costituzione Apostolicae Sedis del 1869 Papa Pio IX ha affermato che il feto ha un’anima fino dal concepimento. La posizione della Chiesa è stata poi ribadita nell’Istruzione sul rispetto della vita umana nascente e la dignità della procreazione, che dal 1987, equipara quindi il feto a una persona sin dal momento del concepimento.

I cattolici quindi, sulla base di riferimenti scritturali e apostolici, hanno, in generale, sempre considerato la vita un bene non disponibile.

La dottrina moderna considera l’esistenza umana un dono da parte di Dio all’uomo, e dunque un bene in sé di cui all’uomo non è dato disporre: ne consegue che l’aborto, in quanto scelta volontaria dell’uomo volta a impedire lo sviluppo della vita, equivale ad un omicidio ed è considerata peccato mortale gravissimo, in quanto con questa scelta l’uomo si contrappone arbitrariamente alla volontà di Dio.

Papa Giovanni Paolo II ha spiegato la posizione della Chiesa Cattolica nell’Enciclica Evangelium Vitae ove viene ribadito come la vita di ogni essere umano sia un bene indisponibile per l’uomo e come questi sia chiamato a difenderla dal concepimento alla morte naturale. Allo stesso modo i cosiddetti metodi di contraccezione d’emergenza, che impediscono l’annidamento del concepito nell’utero materno, vengono considerati abortivi perché impediscono lo sviluppo iniziale della vita del nascituro.

Sul tema è intervenuta anche la Congregazione per la Dottrina della Fede, guidata dall’allora prefetto cardinale Joseph Ratzinger, divenuto in seguito papa Benedetto XVI, che ha ammesso la liceità, al di fuori di una gravidanza (quindi, senza che si produca un aborto), dell’asportazione dell’utero (isterectomia), in seguito a grave danneggiamento dello stesso (ad esempio, a causa di un precedente parto naturale o cesareo), nel caso in cui esso rappresenti un grave pericolo attuale per la vita o la salute della donna. In mancanza di una ragione terapeutica attuale, tale pratica, come quella della legatura delle tube, non è ammissibile in quanto configurerebbe una sterilizzazione diretta che è vietata dalla morale cattolica, anche qualora la donna sia stata vittima di violenza sessuale e anche se minorenne[3].

Il 2016 ha tuttavia visto un’importante svolta nella posizione della Chiesa Cattolica: durante il Giubileo infatti Papa Francesco ha concesso a tutti i sacerdoti del mondo la facoltà di assolvere le donne che hanno abortito volontariamente[4].

IV

IL 1978 E LA PROMULGAZIONE DELLA LEGGE 22 MAGGIO 1978 N. 194

Nel 1978, la legge italiana che regola l’accesso all’aborto è stata approvata dal Parlamento dopo vari anni di mobilitazione per la decriminalizzazione e regolamentazione dell’interruzione volontaria di gravidanza da parte del Partito Radicale e del Centro d’informazione sulla sterilizzazione e sull’aborto (C.I.S.A.)[5].

La legge 194 consente alla donna, nei casi previsti, di poter ricorrere liberamente alla I.V.G. in una struttura pubblica nei primi 90 giorni di gestazione e tra il quarto e quinto mese solo per motivi di natura terapeutica, e sempre in maniera anonima.

Il ginecologo ha il diritto di esercitare l’obiezione di coscienza; tuttavia il personale sanitario non può sollevare obiezione allorquando l’intervento sia “indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo” (art. 9 comma 5 Legge 22 maggio 1978 n. 194).

La donna ha anche il diritto di lasciare il bambino in affido all’ospedale per una successiva adozione e restare anonima.

Tale norma ha inoltre costituito i consultori come istituzione per l’informazione delle donne sui diritti e servizi a loro dovuti, consigliare gli enti locali, e contribuire al superamento delle cause dell’interruzione della gravidanza.

Questa legge è stata confermata dagli elettori con una consultazione referendaria il 17 maggio 1981. L’8 agosto 2020, l’uso della pillola abortiva RU486 è stato esteso fino alla nona settimana di gestazione senza l’obbligatorietà del ricovero ospedaliero.

La sentenza n. 25767/2015 delle Sezioni unite della Corte di Cassazione ha stabilito il diritto della madre e del concepito al risarcimento del danno medico in virtù del diritto alla salute, all’integrità psicofisica e alla uguaglianza delle pari opportunità, negando l’esistenza di diritto a “non nascere se non sani” e il ristoro risarcitorio del danno lamentato in relazione alla mancata opportunità abortiva che sarebbe scaturita da una diagnosi omessa o non sufficientemente accurata.

Il Dipartimento di Diritto di Famiglia e Minori della Fondazione AIGA “Tommaso Bucciarelli”




[1] Dalla nascita di Gesù ai primi Concili Ecumenici (n.d.r.).

[2] Secondo Aristotele il feto diveniva animato dopo 40 giorni se maschio e dopo 40 se femmina (Summa Theologiae, III q 33, a. 2. ad 3). Tesi accolta e promulgata da San Tommaso d’Aquino nel medioevo e che influenzò numerosi teologi cattolici: questi ultimi, nei secoli successivi, pur riconoscendo l’immoralità dell’aborto in quanto contrario alla legge naturale, hanno sostenuto la possibilità dell’aborto del feto non ancora animato, senza condannarne la pratica.

[3] Risposte ai dubbi proposti circa l’isolamento uterino e altre questioni. Nota della Congregazione per la Dottrina della Fede, 1993.

[4] “Conosco bene i condizionamenti che le hanno portate a questa decisione. So che è un dramma esistenziale e morale. Ho incontrato tante donne che portavano nel loro cuore la cicatrice per questa scelta sofferta e dolorosa. Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza. Il perdono di Dio a chiunque è pentito non può essere negato, soprattutto quando con cuore sincero si accosta al sacramento della confessione per ottenere la riconciliazione con il Padre”. Lettera di Papa Francesco all’Arcivescovo Rino Fisichella, Presidente del Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione incaricato di preparare le iniziative giubilari.

[5] Nel 1976 il Partito Radicale e il C.I.S.A. avevano raccolto oltre 700.000 firme per un referendum – patrocinato dalla Lega XIII maggio e da L’Espresso – per l’abrogazione degli articoli del codice penale riguardanti i reati d’aborto su donna consenziente, di istigazione all’aborto, di atti abortivi su donna ritenuta incinta, di sterilizzazione, di incitamento a pratiche contro la procreazione, di contagio da sifilide o da blenorragia. Solo l’anno precedente il referendum sul divorzio aveva mostrato la distanza tra l’opinione pubblica e la coalizione a guida democristiana al governo. La Corte Costituzionale inoltre nel 1975 consentiva il ricorso all’aborto per motivi molto gravi.